
Pietro Citati in quell'affascinante, perspicace e raffinato libro, che ho appena finito di leggere:"La malattia dell'infinito", fa un ritratto di Joseph Roth iniziando così:"......J.Roth aveva un'immaginazione immensa...in ogni rigo che scrisse ritroviamo le ferite della sua anima, desideri impossibili, la caduta, la precipitosa discesa verso la morte....le sue storie sono un'incessante autobiografia". Sono corsa a rileggere "La leggenda del santo bevitore" e a tornare con la memoria al suo grande interprete, nel film, appunto, Robin Williams. Non so perchè, ma istintivamente questi due personaggi, così lontani mi sono sembrati molto simili e volevo trovare, ad ogni costo, la mia certezza. "La leggenda del santo bevitore"è stato l'ultimo capolavoro uscito dalle sue, di J.Roth, tremanti mani di alcolizzato. Anche lui aveva sempre fuggito qualcosa e qualcuno, era un viandante. Come il suo "santo bevitore" sprofondò nell'alcol come in un abisso. Ma, stranamente, l'alcol risvegliava in lui la potenza nascosta del riso. Racconta Citati che, la sera, nella piccola rue de Tournon, le risate erano così fragorose che dovevano accorrere i poliziotti! Roth diceva che se non avesse avuto l'alcol non avrebbe avuto buone idee. Ma mentiva, dice Citati, tutto doveva al suo genio. Ma anche l'euforia, l'eccitazione che si trasformava in limpidezza narrativa, e "La leggenda del santo bevitore" è un capolavoro in questo senso. Ma c'era anche fascino, candore,tenerezza, ironia, irrealtà, leggerezza.
