martedì 29 luglio 2014

Il talento e la felicità

Ciascuno trova la felicità quando trova il suo talento.
James Hillman

Io ho intesa questa frase così: quando e se (perchè non è detto che le circostanze mettano nelle condizioni di trovare la vera essenza di sè) si trova il proprio "talento", cioè si scopre cosa si è davvero (secondo il vecchio principio socratico del "conosci te stesso") e cosa si è in grado di fare in potenza e in atto (altro aspetto fondamentale), allora si raggiunge la felicità. Ma questa non intesa come generalmente si fa, la vedo intesa più come facevano gli epicurei e quindi la felicità come assenza del dolore. E anche questo, il dolore, è inteso come qualcosa di più generale. Non è il dolore fisico nè quello inteso come "dispiacere". E' il male di vivere che si intende per dolore. Questo aforisma lo sento molto congeniale. E' un fedele ritratto di me, credo.
Luz

lunedì 28 luglio 2014

Parenti serpenti

Finalmente dopo tre giorni di pulizie, spostamento di mobili, grandi manovre con scale e scalette per appendere quadri cercando di non infierire troppo sulle dita con  il piccolo martello tra fontane di sudore e piegamenti per scovare gli angoli che impietosi  nascondono, quasi a godere della tua fatica, ogni sorta di residuo stanziale e indefinito, mi abbandono sulla mia, guai a chi osa metterlo in dubbio, poltrona.Che meraviglia! Sono nel mio guscio, davanti alla tv, circondata dai miei libri preferiti,ai quali getto ogni tanto un'occhiata compiaciuta e soddisfatta di vederli in ordine, anche i miei cari e vecchi dischi in vinile giacciono tranquilli. Cosa fare? Accendo e proprio in quel momento sta iniziando il film:"Parenti  serpenti" del grande Mario Monicelli. E' una scommessa, non so se sortirà l'effetto desiderato. Ma con grande sorpresa, pensavo alla noia sinceramente, man mano che la storia si dipana il mio interesse aumenta, si concentra. Due anziani genitori invitano i loro quattro figli a trascorrere il S.Natale insieme con l'intento di capire chi è disposto ad occuparsi di loro in cambio dell'eredità. L'approccio iniziale tra tutti i personaggi è molto conformista, fatto di convenevoli, a modo loro ognuno cerca di piacere all'altro cercando di non mettersi in contrapposizione. Poi via via che si entra nel merito della storia le apparenze si sciolgono come neve al sole e i personaggi si rivelano: fragilità, incomunicabilità, frustrazione, meschinità e desiderio di ferire a dimostrazione dell'importanza del ruolo che ognuno ricopre in una sorta di gara psicologica. Una commedia feroce, dura, anche tragica. Ma meravigliosamente interpretata con intelligenza e sagacia. Mi sono divertita molto e alla fine ho pensato: scampato pericolo!                      Cris

Jane Eyre


Lessi “Jane Eyre” in un inverno di una ventina di anni fa, fra un esame universitario e l'altro. Adorai fin dalle prime pagine il personaggio di Jane. Rileggere “Jane Eyre” dopo 20 anni è come una scoperta piuttosto che una ri-scoperta. Le parole, la trama, la struttura di questo romanzo appaiono decisamente più affascinanti e "profondi" adesso. Me lo gusto lentamente, torno anche indietro a rileggere, mi isolo in questa Inghilterra vittoriana, seguendo i passi di una Jane nella quale mi piace identificarmi.
Romanzo di formazione che rientra in un filone tutto singolare, quello di una storia che si dipana su più anni, e che racconta la crescita, le esperienze di una giovane donna che cerca e trova un suo posto nel mondo. La forza di Jane è sovrumana, si resta come fulminati dalla sua abnegazione, dal coraggio, dalla lealtà a oltranza, dalla magnanimità. Altro grande personaggio è Rochester. Un peccatore, un uomo dedito alla prostituzione, padre disattento, amante delle libagioni con amici altrettanto libertini, sposato e che rinnega per ovvie ragioni quel matrimonio. Nonostante tutto ciò, conserva una certa signorilità, per questo Jane accetta di lavorare per lui. Il riscatto di Rochester sta tutto nell'incontro con Jane, e mi piace perché è lì che viene fuori l'animo nobile di quest'uomo, l'anima sua più vera: il suo credere ad una nuova possibilità. Il suo cambiare dinanzi al vero amore, o semplicemente all’essere per la prima volta amati.  
 Il fatto che Charlotte Bronte descriva Jane come non bella mi ha sempre portato verso l'idea che Charlotte vedesse se stessa in lei. Lo si capisce anche dal senso del divino che è in Jane. E Charlotte era figlia di un religioso, un pastore.
Perché Jane è indimenticabile? Perché profondamente umana. Perché rappresenta e concretizza la forza che è in ogni donna che voglia giungere ad autoaffermarsi senza scendere a nessun compromesso. “Non sono un uccello, e nessuno può ingabbiarmi”, tentando una traduzione, è la frase che Jane rivolge a Rochester ribadendo risolutamente la forza della sua personalità.
Interessante un passaggio di Virginia Woolf sul confronto fra i due grandi romanzi delle sorelle Bronte.
 "Cime tempestose è un libro più difficile da capire di Jane Eyre, perché Emily era più poeta di Charlotte. Scrivendo, Charlotte diceva con eloquenza e splendore e passione «io amo», «io odio», «io soffro». La sua esperienza, anche se più intensa, è allo stesso livello della nostra. Ma non c'è «io» in Cime tempestose. Non ci sono istitutrici. Non ci sono padroni. C'è l'amore, ma non è l'amore tra uomini e donne. Emily si ispirava a una concezione più generale. L'impulso che la spingeva a creare non erano le sue proprie sofferenze e offese. Rivolgeva lo sguardo a un mondo spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di riunirlo in un libro. [...] Il suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di una faccia che non aveva più bisogno di un corpo; parlando della brughiera far parlare il vento e ruggire il tuono". 
Luz

venerdì 25 luglio 2014

Figli

Prendo spunto da una bella risposta di Anairam per tentare di approfondire un tema oggi più che mai di grande importanza. Che significa essere figli? E' una domanda che sorge guardando all'angolo opposto dell'essere genitori. Molte volte mi è capitato di scrivere riguardo al difficile mestiere genitoriale, che richiede carattere e "talento", ma guardiamo al punto di vista dei figli. Credo che ciascuno di noi si sia trovato a pensare, da bambino o da adolescente, di non essere compreso, di sentirsi solo. E' una condizione pressoché necessaria dell'essere figli. Grandi sono le aspettative rispetto a un genitore, esattamente come chi ci genera si aspetta molto da noi. Ma quali sono le più importanti attese? Oggi si crede che basti dire di "sì" pressoché a tutto per essere buoni genitori, quando è evidente che un figlio chiede di essere educato ai propri talenti. I figli hanno decine di cose da fare ogni settimana, armadi pieni di vestiti, cellulari di ultimo grido, e sono spinti nella melma di un massa indistinta in cui tutti chiedono di essere uguali. Non si sentono protetti perchè in verità non lo sono. E si sentono soli. I genitori di figli adolescenti sono gli stessi giovani che negli anni Settanta cercavano un riscatto sociale, un riconoscimento, un affrancamento dai propri genitori. Essi stessi non hanno guardato ai propri genitori come a un modello di riferimento, ma come una figura cui contrapporsi. Hanno arrogantemente pensato che un giorno sarebbero stati genitori migliori, invece sono clamorosamente falliti in una totale inadeguatezza. Temono di alienarsi il favore dei figli, sono indulgenti e "passivi". Non c'è male peggiore dell'incomunicabilità fra esseri umani. E' la base di ogni perdita di valore, di ogni fallimento di progetto. I figli chiedono di essere ascoltati, guidati, chiedono un "no" motivato e motivante, chiedono di poter pensare a genitori non solo come fornitori di danaro e concessioni, ma come ad adulti di cui ci si può fidare e cui ci si può affidare. In fondo tutto questo richiede realmente talento? No, solo intelligenza e carattere.
Luz

giovedì 24 luglio 2014

Nicholas Nickleby

Il film tratto da uno dei grandi romanzi di Dickens non smentisce le aspettative: godibile, ottimo cast, buona regia. E ancora una volta si può riflettere sul genio di questo scrittore inglese, che crea un intreccio attraente col quale punta al suo obiettivo più importante: raccontare i retroscena della ricchezza britannica, la quotidianità delle classi povere, i soprusi subiti dal debole puntualmente assoggettato alla volontà e agli interessi della classe ricca. 
Spesso mi capita di leggere che si vorrebbe vivere in quelle epoche, quelle atmosfere, ma io credo che questa fascinazione scaturisca essenzialmente dai celebri romanzi delle Bronte e della Austen. La realtà era del tutto diversa e dubito che saremmo vissuti felicemente nel XIX secolo inglese. Dickens è fra i pochissimi autori che offrono l'opportunità di scorgere luci e ombre di quel mondo "incantato".
Luz

mercoledì 23 luglio 2014

Il cammino per Santiago

Questo è uno di quei film che ti lasciano la possibilità di una riflessione. Un padre straziato dalla morte del figlio che si ritrova a compiere quel cammino che il giovane aveva programmato e appena iniziato, prima che un incidente lo uccidesse. Prima della tragedia, i rapporti fra i due sono conflittuali: il padre che al momento della partenza gli riserva l'ennesima predica sulle sue aspettative disattese, il figlio che gli annuncia in segno di sfida che per il resto della sua vita girerà il mondo piuttosto che sottostare ai suoi desideri di renderlo un uomo come tanti, dalla vita comune. Questo padre che si ritrova da solo in un paesino ai piedi dei Pirenei, a riconoscere la salma del figlio e poi a decidere di farlo cremare, assomiglia a tanti padri cui viene sottratta la possibilità di comunicare, di dire un'ultima volta qualcosa. La decisione successiva non è che un ultimo dono a questo figlio ormai perduto, compiere al suo posto il cammino e spargere parte delle sue ceneri lungo il percorso. Sembrerebbe solo questo, invece il viaggio gli riserva qualcosa di inatteso, una riflessione molto attenta su se stesso, la possibilità di conoscere persone molto diverse e lontane dal suo mondo, l'intuizione che anche per se stesso quel viaggio si può compiere. E l'ultimo mucchio di ceneri non può che essere sparso non a Santiago, ma oltre, nell'oceano. E si comprende che il vero dono lo fa il figlio al padre. Il viaggio di un uomo sul celebre Cammino, che sempre riserva qualcosa di nuovo e non previsto. Da vedere.
Luz

martedì 22 luglio 2014

Amare gli altri è una pesante croce

Amare gli altri è una pesante croce,
ma tu sei bella senza circonvoluzioni
e il segreto del tuo fascino
è equivalente all'enigma della vita.

In primavera si ode il fremito dei sogni
e il fruscìo delle novità e verità.
Tu sei della famiglia di tali principi.
Il tuo significato è spassionato come l'aria.

E' facile svegliarsi e riacquistar la vista,
l'immondezza verbale dal cuore spazzare via,
e vivere senza intasarsi in anticipo.
Tutto questo non è una grande astuzia.
                                Boris Pasternak 1931
                               
Ho voluto scrivere questa poesia di uno dei miei scrittori, poeti, preferiti perchè trovo in essa ciò che di più bello la vita possa donarci: l'amore. Se penso alle sofferenze di questo grande scrittore così poco amato in patria ma enormemente al di là dei suoi confini,mi commuovo alla bellezza che ha saputo cogliere in ogni cosa, alla purezza del suo pensiero,all'assoluto e incondizionato amore per la sua Patria tanto da fargli rinunciare al Premio Nobel per la Letteratura nel 1958 pur di non abbandonarla perchè ciò disse:"...sarebbe la mia morte..."L'Accademia Svedese si attenne alla sua scelta ma non fu pronunciato alcun discorso.
Ricordo che ero adolescente quando vidi per la prima volta, in una sala affollatissima, il film tratto dal suo più celebre romanzo:"Il Dottor Zivago". Ricordo che piansi molto, per la mia sensibilità di adolescente di allora era inconcepibile che un amore così puro potesse avere quella tragica conclusione. Mi colpì talmente che, nel corso degli anni, ho voluto approfondire leggendo sia il libro sia qualunque articolo,argomento che riguardasse questo autore. E dedico a tutti voi il ricordo di questo mio primo grande Amore cinematografico.
                                                                                                                                                                Cris

Chi sono Luz&Cris?


Luz: Mi chiamo Luana, per alcuni amici cari Luz. In questa foto sono quella a destra, con gli occhialoni e i capelli rasati. Questa foto mi è cara, è una delle tante che mi sono fatta scattare con la mia inseparabile amica Cris, in una delle sere in cui sono salita sul palcoscenico. Siamo amiche, fra noi intercorrono ben 18 anni di differenza, ma siamo amiche come potrebbero esserlo due coetanee. 
Cris: Chi sono Luz&Cris? Iniziamo da Luz: non penso occorrano altre parole che non siano già state dette e scritte sia per chi segue la pagina di Luz, sia per chi segue Luana Petrucci, per descrivere la cara collega, nonché Artista eclettica, sensuale, camaleontica, di un'arte qual è il Teatro molto apprezzata e seguita. Ma è lei la Regista ed è questo che fa "scandalo": come può una donna sola fare tutto ciò! Può. Basti ricordare il suo ultimo lavoro portato avanti con enorme fatica fisica e psicologica che è stato un successo enorme persino a lei inaspettato: "Falene". Sì, perché una delle sue qualità è proprio l'umiltà, ma ha un caratterino niente male: è testarda, corre come un treno. Quando tu sei ancora ferma alla prima stazione lei è già arrivata a destinazione. Che fatica! Ma che vivacità intellettuale! Potrei dire tanto ancora...ma non posso e non voglio perché è giusto che tante cose si scoprano insieme! 
Chi è Cris. Quando Luz le ha proposto una scrittura a due, anzi quattro mani, ha colpito nel segno, come sempre quando vuole raggiungere un obiettivo. Aveva ragione e per questo la ringrazio perché mi ha incoraggiata e sostenuta ad esprimere i miei pensieri in libertà, con entusiasmo e condivisione. Difficile per me che sono schiva di natura, riservata e poco incline ad esprimere i propri stati d'animo. L'amicizia che mi lega a Luz rappresenta per me autonomia, libertà, possiede una sua identità difficilmente collocabile e riconducibile ad altre. E' per questo che la considero diversa. E poi io sono sempre stata e sono curiosa, con uno "sguardo" al mondo, agli altri sempre attento ma leggero, scevro da sovrastrutture mentali e ambientali. Diciamo che l'anticonformismo naturale mi permette quasi sempre di accorgermi dell'altro in quanto essere al di fuori, oltre me. Questo aiuta a cogliere l'essenza delle cose e a gioire delle scoperte. Ma è una complessità caratteriale che se non viene capita può creare qualche disguido! Alla fine però la convergenza sta proprio in questo, l'amore, l'interesse per tutto ciò che è cultura, arte, asimmetrie di caratteri che come rotaie seguono parallele ma entrambe portano alla scoperta delle famose affinità.
Luz&Cris