martedì 29 luglio 2014

Il talento e la felicità

Ciascuno trova la felicità quando trova il suo talento.
James Hillman

Io ho intesa questa frase così: quando e se (perchè non è detto che le circostanze mettano nelle condizioni di trovare la vera essenza di sè) si trova il proprio "talento", cioè si scopre cosa si è davvero (secondo il vecchio principio socratico del "conosci te stesso") e cosa si è in grado di fare in potenza e in atto (altro aspetto fondamentale), allora si raggiunge la felicità. Ma questa non intesa come generalmente si fa, la vedo intesa più come facevano gli epicurei e quindi la felicità come assenza del dolore. E anche questo, il dolore, è inteso come qualcosa di più generale. Non è il dolore fisico nè quello inteso come "dispiacere". E' il male di vivere che si intende per dolore. Questo aforisma lo sento molto congeniale. E' un fedele ritratto di me, credo.
Luz

8 commenti:

  1. Scopri di avere talento quando desideri parlare più forte della Natura stessa, quando inizi ad urlarle che tu esisti e che Lei vive per te ma solo in funzione di te. Allora vuoi imitarla, perchè rimane pur sempre la tua maestra e hai cura dei suoi consigli e ti appropri dei suoi insegnamenti e converti tutto questo in qualcosa chiamata "arte". Ti esprimi, quindi, non solo al meglio di te, superando ciò che puoi, superando ciò che fino a ieri era una possibilità che ti era concessa dalla Natura, dalla tua natura, ma ti esprimi con l'ambizione di chi crede di essere un miracolo creato là dove nemmeno la Natura da sola è capace, perché sei creato tra...cielo e terra. Ed è questo che ti fa tornare alla memoria la tua stessa caparbia ambizione: tu sei più di quel che credevi e sei più di quel che conoscevi, poichè sei in evoluzione, in divenire: sei una nota con cui inizia una melodia, sei la prima pennelleta del tuo prossimo dipinto, sei la prima parola che farà da pilastro al tuo racconto, sei la prima immagine che catturi in uno scatto quando la luce ancora ti concede un suo minuto e tu lo prendi, prendi quel minuto e lo rubi al tempo rendendolo eterno in un gioco di ombre a cui tu stesso partecipi (poiché ritraiamo l'oggetto ma anche il soggetto, noi stessi, poiché trattiamo il fuori di noi mai scisso da quel che intimamente siamo), spesso, quando sigilli la tua soddisfazione nelle tue creazioni "naturali", creazioni che cercano di superare il vincolo che la natura a volte ti pone come restrizione per mettere una firma alla sua potenza su di te. Ma la Natura è maestra? Sì. Quindi da buon discepolo non ti resta che superare la natura nei tuoi capolavori. Ed è questa la definizione di capolavoro: una potenza racchiusa e sigillata in un'opera da quel maestro che alcuni hanno dentro, una potenza che ricorda quella reale ma che qui è espressa nella sua quieta bellezza. Nb: ho massacrato la frase di Henri Frédéric Amiel per dare senso alle mie convinzioni. Chiedo scusa.

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    1. Cara Valeria, raramente mi capita di leggere qualcosa in cui posso identificarmi totalmente. Quando accade, mi sento persuasa che in questa nostra umanità tanti hanno vissuto e vivono la mia stessa esperienza. E' proprio come ti scrivi: "tu sei più di quel che credevi e sei più di quel che conoscevi, poichè sei in evoluzione, in divenire". E' una grande esperienza capire questo principio fondamentale. E' una di quelle intuizioni che una volta arrivate non svaniscono, la fai tua, e resta lì per sempre. Io personalmente ho sempre cercato un canale attraverso cui comunicare, e nel teatro ho trovato un mezzo prezioso, che ha saputo "educarmi", ovvero trarre fuori da me un aspetto profondo di ciò che sono. Non che voglia dire di avere talento. Mi piace pensare a questa parola come ad una specie di prerogativa che si capisce di possedere.

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  2. Ciao ragazze, mi è subito piaciuto il vostro blog e mi sono unita ai lettori fissi, se vi va di passare da me, mi trovate qui: amicadeilibri.blogspot.it :)

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    1. Volentieri, Antonietta! Intanto, lascia un tuo commento quando vuoi e appena puoi. :-)

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  3. Cara Luz, il tuo:"Ciascuno trova la felicità quando trova il suo talento" con i suoi commenti e risposte, mi trova abbastanza d'accordo. Ma ti chiedo e mi chiedo:conduce alla felicità?Io credo di no.Esso non è il mezzo che conduce alla felicità, ma è la razionalizzazione dell'essere pensante che ci permette di conoscere e raggiungere mete altrimenti ignote. Il talento non lo vedi in te ma lo scopri nel confronto, più spesso nella contrapposizione.Il talento se lo incontri negli altri ti può anche "uccidere", è forte, è possente, ti assorbe. Tu lo riconosci in te, lo ami e lo odi.Il talento è un dono,questa è la vera felicità.
    Cris

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    1. Cara Cris, trovare la felicità nel talento non è che riconoscersi in quella distanza dal mondo comune o superficiale che sia. Riconoscersi nella propria differenza dagli altri, il che a mio avviso è una sorta di "stato felice". Poi è pur vero che possedere talento può anche essere devastante. Perchè proprio in quella distanza dal mondo scopri la tua unicità e in parte solitudine.
      Luz

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  4. Avere talento significa possedere una predisposizione alla creazione di qualcosa. Occorre avere una sensibilità che (confrontata con quella altrui può inorgoglire o annientare, se non si è abbastanza forti da reggere il peso di un esterno scontroso) ti offra una visione mai completa di quel che hai davanti e che ti costringa quindi, per la ricerca della tua soddisfazione, a sviluppare te nella creazione di questo qualcosa, che risulterà essere una novità. La soddisfazione che ne deriva, però, è momentanea come la gioia che le sussegue. La ricerca di continue soddisfazioni ci butta nel vortice dell'indagine, coltivando noi, educando noi, spronando noi, sovvertendo anche qualunque credo precedente o fiducia mal riposta. Ogni piccola gioia che proviamo allora è una goccia di felicità che instilla in noi la sete della sua continua ricerca ossessiva ma ponderata. E' un dono il talento ed è un fardello quando non lo si cura, perché la consapevolezza di averlo ci conduce con forza alla realizzazione di ciò che siamo attraverso una lucida osservazione di noi stessi nell'opera d'arte (o quel che è). Lo si ama e lo si odia certamente, ma non si smette mai di essere innamorati dei suoi sviluppi in noi. Quindi il talento è un mezzo per chiarire chi siamo, come siamo e quello in cui più vogliamo evolvere? Quindi il talento è un dono che si fa il tramite per aspirare ad altri doni, tra cui la felicità e non per raggiungerla e possederla ma semplicemente per lasciarla scorrere in noi quando ci occorre.

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    1. Valeria, emerge dal tuo scritto un altro aspetto del talento: la costante, instancabile ricerca di sè nell'opera. La creazione di un qualcosa di originale che in corso d'opera o nella sua piena realizzazione ci sveli qualcosa di più su di noi, la nostra interiorità. Dici bene, in effetti. Il talento può condurci a quella "conoscenza di sé" di cui tanti pensatori hanno discusso.
      Luz

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