venerdì 25 luglio 2014

Figli

Prendo spunto da una bella risposta di Anairam per tentare di approfondire un tema oggi più che mai di grande importanza. Che significa essere figli? E' una domanda che sorge guardando all'angolo opposto dell'essere genitori. Molte volte mi è capitato di scrivere riguardo al difficile mestiere genitoriale, che richiede carattere e "talento", ma guardiamo al punto di vista dei figli. Credo che ciascuno di noi si sia trovato a pensare, da bambino o da adolescente, di non essere compreso, di sentirsi solo. E' una condizione pressoché necessaria dell'essere figli. Grandi sono le aspettative rispetto a un genitore, esattamente come chi ci genera si aspetta molto da noi. Ma quali sono le più importanti attese? Oggi si crede che basti dire di "sì" pressoché a tutto per essere buoni genitori, quando è evidente che un figlio chiede di essere educato ai propri talenti. I figli hanno decine di cose da fare ogni settimana, armadi pieni di vestiti, cellulari di ultimo grido, e sono spinti nella melma di un massa indistinta in cui tutti chiedono di essere uguali. Non si sentono protetti perchè in verità non lo sono. E si sentono soli. I genitori di figli adolescenti sono gli stessi giovani che negli anni Settanta cercavano un riscatto sociale, un riconoscimento, un affrancamento dai propri genitori. Essi stessi non hanno guardato ai propri genitori come a un modello di riferimento, ma come una figura cui contrapporsi. Hanno arrogantemente pensato che un giorno sarebbero stati genitori migliori, invece sono clamorosamente falliti in una totale inadeguatezza. Temono di alienarsi il favore dei figli, sono indulgenti e "passivi". Non c'è male peggiore dell'incomunicabilità fra esseri umani. E' la base di ogni perdita di valore, di ogni fallimento di progetto. I figli chiedono di essere ascoltati, guidati, chiedono un "no" motivato e motivante, chiedono di poter pensare a genitori non solo come fornitori di danaro e concessioni, ma come ad adulti di cui ci si può fidare e cui ci si può affidare. In fondo tutto questo richiede realmente talento? No, solo intelligenza e carattere.
Luz

3 commenti:

  1. Che cosa significa per me essere figlia?

    E' una domanda difficile perché mi sono sentita "figlia" solo fino a tredici anni. Dopo quell'età mi sono sentita sola e adulta. Da sempre, o quasi, lontana costantemente da uno dei genitori, da mio padre. La sua perenne assenza, per motivi di lavoro all'estero, ha creato un vuoto incolmabile, lasciando un posto vacante che ho spesso voluto prendere io per sostenere ciò che era una mamma sola e da sola nel difficile compito di crescere una figlia, andando al lavoro e occupandosi della casa. L'infanzia che ho avuto la potrei definire serena e bella anche se mancante. Non c'è stato un equilibrio nel rapportami al mondo adulto perché era incompleto; il mio era fatto solo dalla parte femminile e per tutta la vita mi sono circondata solo da figure femminili, scartando a priori quelle maschili che reputavo, appunto, assenti. Un totale fallimento per la crescita di un figlio perché in età matura si presenterà con delle problematiche non indifferenti. Ci sono stati almeno un paio di avvenimenti nel mio passaggio verso l' "adolescenza" dove mi sono sentita abbandonata, lasciata da sola, non sostenuta dai miei genitori. Questo ha scatenato in me ciò che ora mi pesa moltissimo in determinati momenti, ovvero, una maturità eccessiva. Nel momento in cui ho realizzato di essere da sola, mi sono rimboccata le maniche dimenticando di essere una figlia e di avere dei genitori. Una sorta di lotta per la sopravvivenza. In tutto ciò, l'assenza dei genitori non solo era perenne e ovvia, ma diventava rancore. Sì, rancore. Ci sono stati momenti in cui ho desiderato ardentemente un'altra forma di vicinanza affettiva che non fosse rappresentata dal denaro. A cosa mi serviva quando io, ad un certo momento, ho iniziato a rinunciare anche ad andare a scuola- parlo delle superiori- rifiutando il mondo e il sostentamento? Il risultato di tutto ciò e di moltissime altre cose è stato la depressione a quindici anni. Me la trascino tuttora. Tra l'altro, non pensate che se ne siano mai accorti finché non ho iniziato a soffrire di tachicardia, diventando paonazza in viso. Siamo andato dal medico, ma a cercarne le cause era troppo difficile. Erano troppo presi dal lavoro e dai soldi, dimenticando di avere a casa un essere umano che voleva stare con loro, condividere le difficoltà che possono esservi quando non si sa l'italiano e si è costretti ad andare a scuola, precisamente alle superiori. Potreste voi, dirmi, dato che siete persone adulte, se questo è un atteggiamento che si può giustificare in qualche modo? Io dico di no, ma sono troppo coinvolta e ho ventidue anni.
    Ad ogni modo, quando ho capito che dovevo fare tutto da sola mi sono rimboccata le maniche pur non avendo alcuno strumento e mi sono data da fare, creando una ragazza che voleva superare tutto, indipendentemente da tutto, e bene! Non bastava superare, doveva essere anche accettabile per me e credo di essere diventata molto critica da allora.
    ...

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    1. ...

      L'argomento scuola è sempre stato importante nella mia vita, mentre da parte loro ci sono state solo aspettative, mai interesse. Ora immaginate che un ragazzo prende sempre voti ottimi nel proprio paese; andando all'estero, costretto a farlo, inizia a prendere voti bassissimi e ad avere debiti. Voi non vi preoccupereste per lui? Non cerchereste a sostenerlo, sapendo che sta subendo un'ingiustizia? Io lo farei, ma si tratta di "intelligenza e carattere". Quando ero nella melma più profonda, loro non ci sono stati, mentre io dovevo "esserci" con voti buoni, faccende dentro casa effettuate e perché no anche la cena pronta. Questo non è un do ut des. Non dovrebbe esserci fra i figli e i genitori. Non si può trattare tutto come uno scambio. Ne ho sofferto molto e mi sono chiusa, lo sono anche oggi, ma fortunatamente ho trovato i mezzi per esprimermi e le persone adatte ad ascoltarmi. Ci sono momenti in cui non mi sento valorizzata, mentre tutti gli altri sono più bravi di me. Do un esempio: a me piace cantare sin da piccola, ma nessuno dei due mi ha mai sostenuto e incoraggiato a farlo. Ora che sono grande procuro da me i mezzi per andare a fare canto, sognando che un giorno calcherò i più grandi palcoscenici del mondo. Voi, suppongo, avreste dell'interesse per quest'attività se vostre figlio ne fosse coinvolto. E' naturale, no? Invece, loro, sono indifferenti! Ho smesso di trasmettergli informazioni sul mio conto, su ciò che faccio, sui miei studi, sulle mie passioni. Non le ascolta nessuno di loro, tranne, forse, mia madre che però mi ascolta perché ha buonsenso. Mentre altri figli chiedono il mondo, io desidero sostengo e fiducia. Mentre altri genitori chiedono ai figli accortezza, attenzione, prudenza, serietà, i miei chiedono i risultati ai quali loro non sono mai arrivati, ponendo sulle mie spalle pesi gravissimi.
      Non sono contenta di tutto questo e mi resta dentro come un macigno, ma se oggi sono ciò che sono è dovuto anche a questo.
      Siate vicini ai figli, non chiedono altro.

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  2. Anairam, il tuo è uno sfogo molto duro e diretto, ed è allo stesso tempo una denuncia forte e chiara di questo disagio che vivi. Essere arrabbiati è più comune di quanto tu creda, come il ritenere i propri genitori inadeguati al ruolo. Si impara che i propri genitori sono molto diversi da noi, si arriva perfino a dubitare che ci abbiano generato proprio loro, mentre senti questa distanza disperante. Mi sento di dirti due cose. La prima è che sono certissima che, nel momento in cui ti sarai affrancata da loro, quando avrai preso la tua strada nel mondo, e starai cominciando concretamente a vivere la tua vita, sentirai sempre meno il peso di questa distanza. L'età adulta ti regalerà la consapevolezza che la logica di alcune dinamiche familiari non solo è diffusa ma è anche appunto tale, una logica. Perchè i genitori ci parlano da un tempo altro, da una generazione nella quale si vivevano e vivono altre esigenze e modalità, e probabilmente quel dialogo che tu disperatamente cerchi non esisteva neppure. Di fatto non stanno negandoti qualcosa che possiedono, semplicemente non sono in grado di capirti perchè vivono altre esperienze, di lavoro essenzialmente, diametralmente opposte alle tue, orientate verso un "farcela" (lo dico conoscendo personalmente la tua situazione familiare). Ma veniamo alla seconda cosa, legata a questa. Tu devi esprimere apertamente questo disagio. Tu devi dire molto chiaramente come ti senti. Non sentirti annientata e inabile a farlo, perchè non solo ne hai tutto il diritto, ma sono certissima che un tuo sfogo non resterebbe trascurato o nel silenzio. Cerca di esprimere quello che senti, dinanzi a loro e apertamente. Non so se tu ci abbia mai provato, ma se lo hai fatto probabilmente non è stato efficace, per una tua reticenza legata ad un'educazione che definirei anche un po' rigida. Fai qualcosa per te, con loro e per loro.
    Luz

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