Si può scoprire una donna come Virginia Woolf anche in età matura, regalandoti il gusto di un lento svelamento. Perchè Virginia si svela lentamente come una grandissima donna: intelligente, estremamente sensibile e profonda, un mix
che splendidamente si concentra in tutto ciò che ha vissuto e scritto.
Interpretarla in una pièce teatrale può sembrare azzardato, e difatti un'operazione simile richiede coraggio e fiducia nelle proprie possibilità. Per poterla portare in scena, lo studio è stato complesso. Mi sono
anzitutto regalata l'interessante biografia di Nadia Fusini, la massima
conoscitrice della Woolf in Italia. Che mirabile viaggio ho compiuto.
Ho visto le sue fotografie, letto diversi suoi scritti, le ho guardato
gli occhi degli anni felici. Virginia non è la donna cupa e triste che
tanti hanno descritto. E' (perchè resterà sempre) una donna straordinariamente vivace e
appassionata e amante della vita - quale immensa contraddizione in quella
morte cercata e ottenuta!
Mi sono commossa dinanzi alle foto delle sue feste in casa, a quella
gioventù gaudente che ha alimentato con la sua ospitale cordialità e l'intento di creare cattedrali di pensiero.
E' evidente che per ogni scrittore esista un "progetto" narrativo prima
di scrivere. Ma pochi sono istintivi in questo, e preferiscono la
rassicurante scaletta lungo la quale costruiscono il tessuto narrativo.
Virginia è immediata, procede per lampi di intuizione e pertanto la sua scrittura è come
"ondeggiante" fra l'adesso e i pensieri. Straordinaria! Ma allo stesso
tempo forte, vagamente androgina, cerebrale, direi unica.
Se potesse parlare, cosa racconterebbe Virginia? Lasciamole la parola.
Luz
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Quanto potrei narrare della mia vita, finita tragicamente per mia scelta.
Se
guardo indietro, vedo una bambina, che si immaginava imprigionata in un
acino d'uva, forse memore di quel calore fluido che solo nel liquido
amniotico si prova. Non ne abbiamo memoria o forse possiamo ricordarne
la sensazione di avvolgente abbraccio? Dal mio acino d'uva vedevo il
mondo esterno, distorto come in una concava visione. Poi ricordo una
casa, St. Ives, dove trascorsi gran parte dell'infanzia. Una grande
scala, la passiflora argentea che si arrampica sulla facciata della
casa, mia madre, la mia amata madre che al mattino, capelli sciolti e
trine bianche, respira l'aria tersa. Ricordo la nascita dei miei
fratelli minori, così come la mano di mia sorella maggiore, che
sorveglia ogni mio passo. Forse vissi più lei che la mia stessa madre.
Julia,
la donna che mi ha dato i natali, era una vedova che trovò in mio padre
l'uomo che avrebbe potuto donarle un po' di serenità. Vidi sempre in
lei ciò che non volevo diventare, malgrado l'amore che provassi. Volevo
essere come i miei fratelli, liberi e volitivi, ma in compenso avevo
l'amore di mio padre, che riuscivo a corteggiare come una innocua
civettuola...Qui sono assieme a mia sorella, Vanessa Bell Stephens. Io sono a sinistra della foto.
Quando morì mia madre, avevo appena 13 anni.
I miei ricordi si
mescolano a sogni strani che feci all'epoca, quindi non saprei dire se
sia realmente accaduto che entrassi in una stanza dove c'era la salma e
baciassi la sua fronte fredda.
La morte di mia madre cambiò le nostre
vite. Mio padre non fu più lo stesso, vendette la bella dimora estiva
di Talland House, e si chiuse in un cupo atteggiamento, che lo portò a
volte a essere freddo e distaccato con noi tutti. Mia sorella maggiore
sostituì mia madre nell'amministrazione domestica, e credo che molto
perse in questo, in anni d'adolescenza in cui tutto doveva invece essere
luminoso e folle. I miei fratellastri divennero ingombranti e uno di
essi cominciò d'abitudine a scendere nei nostri appartamenti e venire da
me, nella mia stanza, ad abusare di una piccola ragazza che mai
denunciò questo fatto. Non saprò mai quanto mi segnarono quelle oscure
carezze, ma credo di non esserne stata immune nel mio percorso di
vita...
Queste siamo io e le mie due sorelle, Vanessa e Stella.
E veniamo all'uomo che ho sposato, il buon Leonard.
Come
era usanza per molti giovani inglesi, andò a soggiornare a Ceylon per
diversi anni. Lo avevo conosciuto poco prima che partisse, c'eravamo
incontrati proprio nel mio salotto letterario e rivoluzionario a
Bloomsbury. La sua partenza non mi aveva addolorata. Io ero presa da
Clive, che ho detto avrebbe sposato mia sorella, dalle mie carte, gli
studi, le amicizie che mi hanno seguita fino alla fine. Leonard era
stata una presenza discreta e fugace a quei tempi. Quando tornò, si lego
profondamente al gruppo, si sentì parte del nostro progetto culturale e
sociale. Dovete considerare che il fervore intellettuale di Bloomsbury
era qualcosa di straordinario e vitale. In campi diversi, chi nella
propria esistenza, chi nella propria disciplina, chi nell'arte, chi
nella scienza, noi liquidavamo il passato, trasformavamo il presente,
anticipavamo il futuro.
Il ritorno di Leonard in Inghilterra segnò
profondamente il suo destino, non solo per avermi presa in moglie, ma è
bene che faccia un passo indietro e vi dica perchè era partito. Era
ebreo, e aveva dovuto rinnegare il suo giudaismo. Aveva dovuto come
sottoporsi all'abiura di suo padre, che ne sconfessò perfino
l'esistenza, e si era legato profondamente a noi tutti. Leonard aveva
dovuto imparare a vivere con altri mezzi, nutrendo un pensiero e
un'esistenza del tutto laici. Una volta laureatosi, aveva lasciato
Cambridge, a malincuore, ed era partito per Ceylon per guadagnarsi da
vivere, non aveva avuto altra scelta.
Mi raccontò che a Ceylon aveva
lavorato undici ore al giorno sette giorni su sette. Gli era stato
affidato il governo di un intero distretto. Era stato poliziotto,
magistrato, giudice, medico, veterinario, esattore, e altro. In un luogo
senza strade nè ferrovie, solo, senza alcun altro europeo accanto.
Acquisì in quegli anni la sua tenacia, che diventò una piega del suo
carattere. C'è da dire anche che sfiorò una certa misantropia e che
imparò a detestare la mediocrità.
Quando tornò a Londra, Leonard
aveva in sè alcuni aspetti del suo carattere che mi affascinarono e
incuriosirono. Mi catturò il suo riflesso paterno, divenne gradualmente
per me il padre che avevo perso, o che avevo da sempre desiderato. Non
era forse vero che Leonard assomigliava a mio padre per l'ambizione
almeno?
Ci incontrammo a Gordon Square, nella stessa casa dove lo
avevo conosciuto sette anni prima e restò incantato quando gli tesi la
mano (mi avrebbe poi detto che lo aveva affascinato constatare come
fossi cambiata, in meglio), restò fermo come se vivesse l'emozione di
una bellezza.
Mi disse una frase in francese: L'armonie la plus douce este le son de la voix de celle que l'on aime. Non mi amava ancora, ma si era innamorato dell'idea di amarmi.
E
io? In età da marito, come avevo preso quelle attenzioni? Devo
confessare che desideravo fortemente sposarmi e che non volevo
assolutamente restare zitella. Era una questione di femminilità. Avevo
diversi pretendenti, anche illustri, ma nessuno pareva fare al caso mio.
Leonard, invece, forse sarebbe potuto andare bene, e lo invitai in
campagna.
Ricordo bene quei giorni. Passeggiamo per le colline del
Sussex, e parlammo parlammo parlammo. Era diverso dagli altri uomini che
conoscevo, tutti più simili ai miei fratelli, tutto o quasi figli di
un'aristocrazia intellettuale. Forse perchè era ebreo, forse perchè suo
nonno faceva il sarto, Leonard aveva in sè qualcosa che lo rendeva
affascinante e diverso insieme.
Quando mi chiese in moglie, pertanto
accettai. Mi sarei mescolata con una classe media di professionisti, io,
Virginia Stephen, nella quale vibrava un'aristocrazia di lettere tra le
migliori del paese. Leonard non mi avrebbe offerto alcun blasone, solo
la propria indefessa volontà di lavorare.
Però, attenzione: io non
sposai Leonard, tradendo la mia classe sociale, per obbedire ad
un'altra. Mi piaceva perchè era un outsider esattamente come me. Lui era
duro, inflessibile, esigente, irreprensibile, esattamente come mio
padre. Mi accorsi anche di una sua cupezza, perchè non amava ridere nè
giocare, attività che noi giovani di Bloomsbury adoravamo.
Fu così
che Leonard mi sposò, venne ad abitare all'ultimo piano di Brunswick
Square, e cominciò a portarmi il vassoio del pranzo al secondo piano,
perchè non dovessi scendere. Io scrivevo in quegli anni La crociera. Eccoci nel giorno del nostro matrimonio.
Interessante post!
RispondiEliminaIo ho scoperto la Woolf a 18 anni ma non ho letto molto di suo, solo Gita al faro, Orlando e Una stanza tutta per sé.
Ciao, Marina! Hai visto il film The Hours? Te lo consiglio vivamente. :-)
RispondiEliminaLuz
Cara Luz è sempre un piacere "rileggerti"e rileggere un pò di quel mondo così doloroso e intenso di Virginia Woolf.Un mondo che hai "perforato" con la tua bravura e sensibilità,un percorso duro e sofferto spesso in salita ma ancora più desiderato.Ed è stato un trionfo perchè, come sempre, hai creduto fermamente in quel progetto, percorso direi di vita.Il tuo "Falene" che hai condiviso con tutti noi resterà un grande insegnamento di come si può trasferire sul palcoscenico un atto d'amore per la cultura, per il teatro.La cornice tra le due ali rosse del sipario, quello che a me piace tanto,il talento, la preparazione maniacale in questo caso per la ricerca del particolare, del dettaglio. Vogliamo rivederlo"Falene" siamo affamati di arte, di bellezza, di cultura. Ne abbiamo bisogno per vivere!
RispondiEliminaCris
Virginia Woolf è un'autrice che mi incuriosisce molto. Anzi, più che come autrice direi come donna, come persona. Di lei ho letto soltanto Orlando, un romanzo che mi ha molto colpito e nel quale ho visto un percorso verso la malinconica saggezza di chi impara ad osservare i ritmi del mondo. Mi stupisce sempre ricordare come se ne sia andata, sapendo quale sguardo sia stata capace di rivolgere all'esistenza in quel romanzo. E poi, quando mi trovo davanti una sua foto, resto incantato dai suoi occhi.
RispondiEliminaComplimenti per il post, una lettura davvero interessante!
Dario