Lessi “Jane Eyre” in un inverno
di una ventina di anni fa, fra un esame universitario e l'altro. Adorai fin
dalle prime pagine il personaggio di Jane. Rileggere “Jane Eyre” dopo 20 anni è come una scoperta
piuttosto che una ri-scoperta. Le parole, la trama, la struttura di questo
romanzo appaiono decisamente più affascinanti e "profondi" adesso. Me
lo gusto lentamente, torno anche indietro a rileggere, mi isolo in questa
Inghilterra vittoriana, seguendo i passi di una Jane nella quale mi piace
identificarmi.
Romanzo di formazione che rientra in un filone tutto singolare, quello di una
storia che si dipana su più anni, e che racconta la crescita, le esperienze di
una giovane donna che cerca e trova un suo posto nel mondo. La forza di Jane è
sovrumana, si resta come fulminati dalla sua abnegazione, dal coraggio, dalla
lealtà a oltranza, dalla magnanimità. Altro grande personaggio è Rochester. Un
peccatore, un uomo dedito alla prostituzione, padre disattento, amante
delle libagioni con amici altrettanto libertini, sposato e che rinnega per
ovvie ragioni quel matrimonio. Nonostante tutto ciò, conserva una
certa signorilità, per questo Jane accetta di lavorare per lui. Il riscatto di
Rochester sta tutto nell'incontro con Jane, e mi piace perché è lì che viene
fuori l'animo nobile di quest'uomo, l'anima sua più vera: il suo credere ad una
nuova possibilità. Il suo cambiare dinanzi al vero amore, o semplicemente all’essere
per la prima volta amati.
Il fatto che Charlotte
Bronte descriva Jane come non bella mi ha sempre portato verso l'idea che
Charlotte vedesse se stessa in lei. Lo si capisce anche dal senso del divino che
è in Jane. E Charlotte era figlia di un religioso, un pastore.
Perché Jane è indimenticabile?
Perché profondamente umana. Perché rappresenta e concretizza la forza che è in
ogni donna che voglia giungere ad autoaffermarsi senza scendere a nessun
compromesso. “Non sono un uccello, e nessuno può ingabbiarmi”, tentando una
traduzione, è la frase che Jane rivolge a Rochester ribadendo risolutamente la
forza della sua personalità.
Interessante un passaggio di
Virginia Woolf sul confronto fra i due grandi romanzi delle sorelle Bronte.
"Cime tempestose è un libro più difficile da capire di
Jane Eyre, perché Emily era più poeta di Charlotte. Scrivendo,
Charlotte diceva con eloquenza e splendore e passione «io amo», «io odio», «io
soffro». La sua esperienza, anche se più intensa, è allo stesso livello della
nostra. Ma non c'è «io» in Cime tempestose. Non ci sono istitutrici. Non
ci sono padroni. C'è l'amore, ma non è l'amore tra uomini e donne. Emily si
ispirava a una concezione più generale. L'impulso che la spingeva a creare non
erano le sue proprie sofferenze e offese. Rivolgeva lo sguardo a un mondo
spaccato in due da un gigantesco disordine e sentiva in sé la facoltà di
riunirlo in un libro. [...] Il suo è il più raro dei doni. Sapeva liberare la
vita dalla sua dipendenza dai fatti; con pochi tocchi indicare lo spirito di
una faccia che non aveva più bisogno di un corpo; parlando della brughiera far
parlare il vento e ruggire il tuono".
Luz